5 febbraio 2020

Adrienne Rich "Nato di donna.Cosa significa per gli uomini essere nati da un corpo di donna"

Nato di donna (Garzanti, 1996) di Adrienne Rich, è uscito nel 1976 negli USA e offre una analisi della maternità in una prospettiva femminista. Ne emerge una valorizzazione della maternità come potenziale creativo e procreativo, e al contempo una critica alla maternità come istituto. Una lettura fondamentale e illuminante, della quale abbiamo selezionato un estratto. 

Tutta la vita umana sul nostro pianeta nasce da donna. L’unica esperienza unificatrice, incontrovertibile, condivisa da tutti, uomini e donne, è il periodo di mesi trascorso a formarci nel grembo di una donna. Poiché i piccoli dell’uomo hanno bisogno di cure molto più a lungo degli altri mammiferi, e poiché la divisione del lavoro da tempo stabilità nelle società dell’uomo assegna alle donne la quasi totale responsabilità dell’allevare i figli oltre al generarli e all’allattarli, quasi tutti noi abbiamo le prime esperienze di amore e di delusione, di potere e di tenerezza, attraverso una donna.

Per tutta la vita e persino nella morte conserviamo l’impronta di questa esperienza. Eppure stranamente c’è ben poco materiale che ci aiuti a comprenderla e a servircene. Sappiamo molto di più dei mari che navighiamo che della maternità… Ci sono molti elementi a indicare che la mente maschile è sempre stata ossessionata dall’idea del dovere la vita a una donna, lo sforzo costante del figlio per assimilare, compensare o negare il fatto di essere ‘nato di donna’.

Anche le donne nascono dalle donne. Ma sappiamo poco circa gli effetti culturali di questo fatto poiché le donne non sono state le artefici e le portatrici della cultura patriarcale… Espressioni come ‘sterile’ o ‘senza figli’ sono state impiegate per negarle ogni ulteriore identità. Il termine ‘non padre’ non esiste in alcuna categoria sociale.

Il fatto fisico della maternità è così visibile e drammatico che l’uomo ha impiegato un certo tempo a rendersi conto che anche lui aveva una parte nella generazione. Il significato di ‘paternità’ resta tangenziale, esclusivo. Essere padre suggerisce il fornire gli spermatozoi che fecondano l’uovo. Essere madre implica una presenza continua, protratta per almeno nove mesi, e di solito per anni. Alla maternità si giunge prima attraverso un rito di passaggio di grande intensità fisica e psichica – gravidanza e parto – e poi con l’apprendimento delle cure necessarie al bambino, che non si conoscono per istinto. Un uomo può generare un figlio in un momento di passione o di violenza, e poi ripartire; può anche non rivedere più la madre, non interessarsi del figlio. In simili circostanze la madre si trova di fronte a una serie di scelte dolorose, rese oppressive dalla società: aborto, suicidio, abbandono del bambino, infanticidio, allevare un figlio con il marchio di “illegittimo”, di solito in povertà e sempre al di fuori delle legge. In alcune culture l’aspetta la morte per mano della sua famiglia. Qualche che sia la sua scelta, la sua mente non sarà mai più la stessa, il suo futuro come donna è segnato da questo evento… Quasi tutte le donne, anche se come sorelle e zie, bambinaie, insegnanti, madri adottive, matrigne, sono state madri in quanto hanno dedicato le loro cure ai bambini… Per gran parte di noi è stata una donna a darci la continuità e la stabilità - ma anche le ripulse e i dinieghi – dei nostri primi anni, e le nostre prime sensazioni, le nostre prime esperienze sociali sono associate alle mani, agli occhi, al corpo, alla voce di una donna… In questo libro ho cercato di distinguere tra i due significati di maternità, di solito sovrapposti: il rapporto potenziale della donna con le sue capacità riproduttive e con i figli; e l’istituto della maternità che mira a garantire che tale potenziale  - e di conseguenza le donne – rimanga sotto il controllo maschile. 

Adrienne Rich 

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